Diritto.it – 4 aprile 2024

Il punto di vista di diritto.it in questa breve analisi che mette in risalto il danno causato dall’invadenza spregiudicata dei media.
Un assalto che in questo caso è stato rivolto verso una donna innocente attraverso una vera e propria strategia colpevolista basata sul nulla.
Come del resto la sentenza di I grado emessa dal tribunale della Spezia.

La fonte delle parole che riportiamo è https://www.diritto.it/caso-marzia-corini-appiattimento-della-cronaca-giudiziaria-sulle-sole-tesi-dellaccusa/
Sito: diritto.it

Il brano fa da introduzione all’intervista realizzata dalla giornalista Sondra Coggio.
Il testo dell’intervista è scaricabile seguendo le indicazioni al link segnalato.

«Se finisci nel tritacarne mediatico, da imputata la tua voce non conta niente». Marzia Corini, medico anestesista, aderente a Medici Senza Frontiere, fino al 2014 aveva la sua vita all’estero, negli scenari di guerra. È stata travolta da uno tsunami, una complessa e interessante vicenda giudiziaria che l’ha inchiodata in Italia.
Rientrata su pressione del fratello Marco, avvocato di successo, malato terminale di cancro, l’ha assistito fino alle fine, avvenuta nel settembre 2015. Due mesi dopo, mentre rientrava all’estero, è stata accusata da una persona estranea alla famiglia di aver scritto di suo pugno il testamento del fratello, sotto dettatura. L’uomo, non destinatario di quote ereditarie, lo aveva saputo da lei. La dottoressa non riteneva fosse un reato e l’aveva raccontato pubblicamente. All’epoca la persona che la denuncia risulta sotto processo per associazione a delinquere. Sulla base delle sue parole Marzia Corini viene immediatamente messa sotto indagine e sotto intercettazione. Viene arrestata nel febbraio 2016, con l’accusa di omicidio, perché in una telefonata avvenuta quattro mesi dopo la morte di Marco si accusa di aver contribuito alla sua scomparsa. Non parla mai di uccisione, ma di generica responsabilità. Su questa telefonata l’accusa costruisce un teorema di omicidio, basato su una presunta iniezione di sedativo che avrebbe accelerato la morte dell’avvocato.
Si scatena una campagna mediatica a senso unico, una spettacolarizzazione delle posizioni della sola accusa. Marzia Corini viene condannata a 15 anni, in primo grado, dal tribunale della Spezia. Il pubblico ministero ne aveva chiesti 22. La riduzione viene motivata con le violenze subite per tanti anni dalla donna, da parte della famiglia, dalla quale si era definitivamente allontanata da 15 anni, per dedicarsi alle missioni umanitarie.
Il 17 maggio del 2021 la Corte d’Assise del tribunale della Spezia la condanna. E condanna con lei, per presunta circonvenzione, l’avvocata Giuliana Feliciani, già per tanti anni collega di studio e compagna dell’avvocato Marco Corini, 4 anni.
Nel maggio del 2022 la Corte d’Appello di Genova rovescia la condanna di primo grado ed assolve Marzia Corini dall’accusa di omicidio volontario. Per i giudici non ha ucciso, si è solo presa cura del fratello morente, sedandolo per non farlo soffrire, con un sedativo utilizzato comunemente per le cure palliative. Non c’è stata alcuna iniezione omicida.
Assoluzione piena per l’avvocata Giuliana Feliciani.
A Genova, lo stesso procuratore generale Roberto Aniello esclude l’esistenza di un movente economico. La sua richiesta di condanna è motivata esclusivamente da una ipotesi di eutanasia, dettata dal desiderio di «non vedere più soffrire il fratello».
Alla fine dell’aprile del 2023 la Corte di Cassazione, su ricorso del procuratore Aniello di Genova, conferma l’assoluzione dell’avvocata Feliciani ma annulla l’assoluzione della Corini, con rinvio ad un’altra Corte di Appello, per «difetto di motivazione». La Corte Suprema pone in particolare il problema della cosiddetta “sentenza rafforzata”, accogliendo uno dei temi sollevati dal procuratore di Genova. Poiché la condanna di primo grado era articolata in settecento pagine, l’assoluzione in Appello non poteva contenersi in una cinquantina. Doveva essere più consistente, più articolata, più motivata. In particolare, su quella telefonata del 21 gennaio 2016, in cui la dottoressa si colpevolizzava per la morte del fratello, attribuendosi una imprecisata responsabilità. Si arriva al marzo del 2024. La Procura generale milanese chiede la condanna di Marzia Corini, riallacciandosi al teorema accusatorio del primo grado. La Corte invece ribadisce le posizioni del secondo grado a Genova, assolvendo pienamente la dottoressa.
La storia di Marzia pone interrogativi di interesse. Quanto pesa su un processo la costante sovrapposizione fra tesi investigative e media? Quanto influisce quel filo diretto, potenzialmente tossico, fra giornalisti e fonti giudiziarie, prodighe di indiscrezioni con i cronisti che preferiscono il porto sicuro delle veline di palazzo, piuttosto che le insidie del giornalismo di inchiesta? Chi ci rimette, alla fine, se non la giustizia stessa?

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